Chianti: una marca, due denominazioni
inserito da Lorenzo Biscontin - biscomarketing- feed di questo blog
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1. Nella percezione della stragrande maggioranza dei consumatori (e probabilmente di una parte rilevante degli operatori) “Chianti” è una marca. Intendo dire che la PAROLA “Chianti” è una marca nel senso di un segno (in questo caso verbale) a cui le persone associano dei valori che creano una preconfigurazione dei benefici attesi con la fruizione del prodotto.
Per affermarlo non ho il sostegno di ricerche di mercato, ma l’evidenza della logica e, soprattutto, l’esperienza della frequentazione dei mercati nazionale ed esteri.
Quindi nel vino (evito di entrare in considerazioni sulla valenza della marca verbale “Chianti” in altri settori merceologici, che pure esiste riflettendosi anche sul vino) la marca “Chianti” è una “marca ombrello”, di cui “Chianti Classico” è una declinazione.
Discutere oggi sui fenomeni che hanno portato a questa situazione risulta piuttosto pleonastico, anzi rischia di fornire elementi a giustificazione della resistenza ad accettare questo dato di fatto da parte (dei produttori) dei due Consorzi.
Se così è, ed è così, l'efficacia della gestione delle due marche “Chianti” e “Chianti Classico” potrà essere massimizzata solamente se realizzata in modo coordinato.
Per fare un esempio preso da un altro settore: è come se la gestione delle marche Lavazza Crema e Gusto, Qualità Rossa e Qualità Oro fosse fatta in modo indipendente o, peggio, in contrapposizione.
Tra l’altro è chiaro come qualsiasi attività di comunicazione realizzata dal “Chianti Classico” si riverberi anche sulla conoscenza e percezione del “Chianti” e viceversa.
2. “Gran Selezione” è stata inserita tra le menzioni previste dalla legislazione vincola per le DOCG e quindi automaticamente è diventata utilizzabile da tutte le DOCG italiane. Se l’intenzione del Consorzio “Chianti Classico” era quella di utilizzare in esclusiva questa dicitura che ha creato, la strada avrebbe dovuto essere diversa (probabilmente essere quella della registrazione del marchio).
Oggi come oggi contrastare per vie legali la decisione dell’assemblea dei soci del Consorzio Vino Chianti mi pare un percorso difficile, oltre che poco sensato in termini di gestione conflittuale della marca per quanto esposto sopra.
3. L’impressione è che, come (troppo) spesso accade nel mondo del vino, ci sia una realtà ufficiosa diversa da quella ufficiale.
Numerose ed importanti cantine sono socie di entrambi i Consorzi. Queste cantine non solo hanno votato a favore dell’inserimento della menzione “Gran Selezione” (visto che la proposta è stata approvata con una maggioranza del 96,5%), ma sicuramente hanno evitato di sollevare la pubblicamente questione quando era nella sua fase preparatoria, antecedente alla votazione in assemblea.
Escludendo che le cantine operanti nelle due denominazioni siano autolesioniste, perché si sono comportate cosi? Secondo me è perché queste cantine gestiscono quotidianamente la dinamica della relazione tra “Chianti” e “Chianti Classico” all’interno dei propri assortimenti. E se già gestiscono la possibilità di avere nei propri listini la “Riserva” sia per il “Chianti” che per il “Chianti Classico”, non vedono problemi a fare lo stesso con la menzione “Gran Selezione”. Anzi la vedono come un’opportunità perché hanno già risolto, articolandola, la relazione tra i due “Chianti” nella loro proposta aziendale.
Al di là dei richiami ai Guelfi e Ghibellini, credo che sarebbe opportuno partire proprio dall’esperienza di queste cantine per impostare le strategie di sviluppo della marca di vino Chianti, contestualizzando le sue molte declinazioni (Classico, Superiore, Colli Senesi, Rufina, ecc…).
P.S. Tra le decisioni prese dall’Assemblea del Consorzio Vino Chianti c’è stato anche il divieto dell’uso del fiasco, già abolito in precedenza dal Consorzio del Chianti Classico. Devo dire che è una decisione che mi dispiace perché elimina il contenitore tradizionale nella storia di questi vini. Che credo sia anche più ecologico della bottiglia.
L’associazione fiasco=vino economico di bassa qualità non dipende dal fiasco, ma dal vino che le cantine scelgono di metterci dentro.
L’utilizzo del fiasco si è già fortemente ridotto da solo per le scelte commerciali delle cantine e per le difficoltà che presenta in termini di imbottigliamento e di logistica.
Perché impedirne per legge l’utilizzo, limitando la libertà (imprenditoriale) dei produttori?
Sarà il mio spirito anarchico, ma mi sembra un inutile dirigismo.
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Domenico Sciutteri